Il Palazzo del Ghiaccio

a cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro

Nello scorso articolo ci siamo occupati delle vicende che hanno portato alla costruzione del Palazzo del Ghiaccio, e ci siamo soffermati sulle sue caratteristiche estetiche ed architettoniche.
Percorriamo ora gli anni che portano da quel lontano 1923, in cui solo la parte di cittadinanza appartenente ad una borghesia medio-alta poteva dedicarsi allo sport su ghiaccio, fino ai giorni nostri, quando a tutti è consentita la pratica sportiva al Palazzo stesso.

Al centro della pista, abbiamo detto, in un'area riservata, si esibivano i campioni di pattinaggio su ghiaccio. Tutto intorno, un pubblico d'eccezione si muoveva a giro d'orologio e suon d'orchestra, tra le rincorse di alcuni universitari di primo pelo. Bastava però l'imponente figura del direttore, il "capitano Radice" (ex portiere del Milan), a rimettere le cose a posto.
Su fumanti automobili giungevano Borletti, Wally Toscanini, Giovanni Battista Pirelli e talvolta persino Benito Mussolini, che, bombetta in testa, accorreva a veder l'affezionata figlia Edda (e del resto nell'album d'onore del Palazzo del Ghiaccio figura persino la famiglia reale).

Edda, futura moglie di Ciano, era la più sbarazzina, perchè, pattinando all'indietro, guidava il "treno": una decina di esibizionisti che, tenendosi a braccetto, sorpassavano pericolosamente gli altri pattinatori.
Un altro ambiente molto frequentato dai giovani era la saletta del ping pong: qui, specialmente il giovedì pomeriggio (in cui alcui licei chiudevano) si accalcavano i giovani delle varie scuole. Lo sport si stava così diffondendo anche nelle nuove generazioni.

Ben presto apparve l'hockey, sport importato dal Canada, non più individuale ma di squadra, oltre che più maschio e più scatenato. Esso ebbe subito successo tra gli studenti, tra cui si può ricordare Tino De Mazzeri, che, grazie al suo patrigno statunitense, avrebbe poi lanciato la Coca Cola in Italia, come pure Enrico Calcaterra, detto "il calcaghiaccio", olimpionico del 1936, ed in seguito fervente animatore della Federazione Italiana Sport del Ghiaccio.
Seguì il pattinaggio di velocità, ma solo per gli allenamenti, poichè richiedeva una pista più lunga; e comunque anch'esso contribuì ad avvicinare quell'importante pubblico allo sport.

Il Palazzo del Ghiaccio fu spesso sede di importanti manifestazioni internazionali, sin dalla sua inaugurazione e fino ai giorni nostri, anche se da qualche tempo in qua, gli incontri sportivi di hockey sono stati dirottati verso un altro palazzetto.
Ospitò infatti i campionati europei (1924) e mondiali (1934) di hockey. Poi, superata la seconda guerra mondiale, che portò via non solo simbolicamente drappi e velluti, ci fu la grande ripresa: la comparsa della danza e l'affermazione del pattinaggio artistico, di cui ospitò i campionati europei (1949) e i mondiali (1951), ma soprattutto il successo dell'hockey.

Negli anni del dopoguerra, lo sport si diffuse in tutti i ceti, ma non sempre si avevano le risorse economiche per permetterselo. Ecco allora che il figlio del custode quasi ogni sera faceva entrare gratis gli amici, e se i pattini erano di tre numeri superiori, bastava mettersi tre paia di calzettoni.
Spinti dalla curiosità per l'hockey ma soprattutto sostenuti da una grande forza di volontà e da caparbia tenacia, questi ragazzi divennero tanto bravi da entrare a far parte dell'"Amatori Milano" e, dopo poco tempo, della Nazionale.
E sui giornali ecco le foto di Agazzi, Bolla, Branduardi, Crotti. In via Piranesi c'era sempre ressa per entrare! Imperavano allora due squadre imbattibili: Diavoli e Milano, che in seguito si sarebbero fuse, dando origine alla squadra che ai nostri tempi porta il nome della nostra città in uno sport, l'hockey su ghiaccio, che dovrebbe pertenere alle città di montagna (Bolzano, Merano, e così via). Se invece Milano riesce a ben figurare, il merito principale è senz'altro del Palazzo del Ghiaccio, e di chi profondamente lo volle, il Conte Alberto Bonacossa, che, figura aristocratica della Milano del ventennio, riuscì nell'opera di diffondere lo sport a tutti i livelli sociali, come si può constatare oggigiorno.