A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Balzato alla luce delle cronache per la nota vicenda del depuratore,
il borgo di Nosedo, come spesso capita in questi casi, rischia di esservi
associato vita natural durante.
Con questi due articoli cercherò perciò di rendere giustizia ad un borgo
che non solo testimonia un passato agricolo di lunga tradizione, ma che
in epoca remota era un centro di notevole importanza nella pianura padana.
Un tempo, infatti, questo borgo costituiva un comune di quattrocento
abitanti, distribuiti su poco più di duecento ettari, e la sua storia va
molto indietro negli anni.
Vi sono due leggende che si tramandano al proposito: la prima dice che
nel 539, a causa dell'arrivo a Milano dei Goti, capitanati da Vitige (secondo
altre fonti, da Uraia), i notabili milanesi, i responsabili della Curia
episcopale e parte della popolazione, per sfuggire ai barbari invasori
si rifugiarono in questa zona del milanese.
Una seconda tramanda che quando, nel 569, Alboino, re dei longobardi,
invase le terre vicine a Milano, il vescovo Onorato (e tutto il clero della
città che fuggì con lui) si ritirò proprio a Nosedo (o Noceta, o Noceto; il
nome originario è incerto, mentre certo è che derivasse da un bosco di
noci; del resto anche Rogoredo proviene da roburetum, e chiaro è pure
l'etimo di Castagnedo, dal che deriva come la terra intorno a Milano fosse
all'epoca ricca di boschi).
Dopo la distruzione di Milano ad opera del Barbarossa, nel secolo
dodicesimo, ai milanesi di Porta Romana furono destinati i campi tra Nosedo
e la cascina Pismonte (che era situata nella via omonima), affinchè vi
costruissero le loro baracche. Quando i milanesi, nell'estate del 1163,
furono costretti a trasportare dalla città distrutta i materiali per costruire
la Torre Trionfale (che doveva contenere il denaro richiesto, o meglio
estorto, alla cittadinanza), il governatore di Milano si recò a Nosedo.
Infatti, nell'ottobre 1164, il conte Marcoaldo di Grumbac, che all'epoca
rivestiva la carica suddetta, si recò nel palazzo di Nosedo (di cui si è persa
traccia), e ricevette in dono dai cittadini baraccati un vaso
d'argento del valore di 14 lire imperiali. Non contento, non ringraziò ed
anzi pretese il giuramento collettivo di fedeltà.
Nell'anno successivo, ulteriori requisizioni furono effettuate da cinque
vicari del governatore, che si erano installati nel palazzo con buona parte
della corte durante quel rigido inverno; tale situazione si trascinò fino al
1167.
In seguito a tali eventi, la popolazione del borgo si organizzò sulla base
di una economia agricola, basata sul pascolo e sull'allevamento di bovini ed
equini, con conseguente produzione di formaggio. L'arrivo dei Monaci
Cistercensi, nel 1200 circa, la fece diventare in breve Grangia di Chiaravalle
(una grangia era, nel medioevo, un complesso di edifici e di terreni tenuti da
una comunità di frati cistercensi; nella zona si trova anche quella
di San Francesco dell'Accessio, sita al termine della via San Dionigi al
confine con il comune di San Donato).
Ma torniamo al palazzo di Nosedo: esso non ospitò solo funzionari esosi,
nel corso della sua storia; narra infatti il cronista milanese
Galvano Fiamma che nella prima metà del quattordicesimo secolo i vescovi
cosiddetti "suffraganei" (cioè quelli che amministravano diocesi sottoposte
all'arcivescovo di Milano, come ad esempio Genova ed Aosta) erano tenuti a
soggiornare una settimana nel palazzo di Nosedo e a celebrarvi le funzioni.
Nel prossimo articolo termineremo questo excursus storico e ci occuperemo
della situazione attuale del borgo e delle sue caratteristiche architettoniche
ed artistiche.