A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Dopo aver trattato negli ultimi due articoli del borgo dei Tre Ronchetti, attraversiamo la via dei Missaglia e ci occupiamo di quello che oggi è un grande quartiere della città (occupa una superficie di 422.000 m2 ed ospita circa 10.000 abitanti, secondo dati risalenti ad alcuni anni fa): Gratosoglio.
Iniziamo dal nome, il cui significato è palese, ma la cui origine viene fatta risalire a duemila anni fa. Secondo una leggenda infatti nel 51 d.C. San Barnaba passò da Milano a diffondere la religione cristiana e si fermò ospite proprio in una abitazione di questa zona; al termine della sua permanenza, andandosene, pare che abbia salutato dicendo “O gratum solium”, vuoi per l’ospitalità ricevuta, vuoi per la fertilità del terreno: non è dato saperlo. Il nome, che nel Medioevo sarebbe stato anche attribuito alle persone piuttosto diffusamente, venne così assegnato dai residenti alla località.
Pare logico in effetti aspettarsi nella zona, in cui scorre tuttora, seppure deviato rispetto al corso originale, il fiume Lambro Meridionale, degli insediamenti umani già fin dai primi secoli dopo Cristo (ricordo poi che non lontano da qui, all’Abbazia di Fonteggio, sono stati ritrovati pavimenti risalenti al II secolo d.C.); il primo documento che attesti l’esistenza di Gratosoglio tuttavia risale all’inizio del secolo undicesimo, più precisamente al 1044, e si tratta di un atto di compravendita, in cui viene anche menzionata la località di Maconaco (l’odierna Macconago), e il successivo a noi giunto risale al 1130, e si riferisce a un lascito.
Più dettagliata invece è la vicenda xhe porta ad un documento datato 1141: dopo che San Giovanni Gualberto aveva fondato a Vallombrosa (in Toscana) un ordine monastico tra i cui compiti c’era quello di redimere il clero stesso, nel 1064 i milanesi chiesero al santo di inviare alcuni monaci anche nella loro città., dove vi era una perenne lotta tra preti celibi e preti ammogliati. I monaci si insediarono nel monastero di San Barnaba al Gratosoglio (su cui ritornerò a suo tempo), allora isolato tra paludi e boschi. L’abbazia di Gratosoglio comparve quindi per la prima volta (il Papa Pasquale II non l’aveva voluta riconoscere) nel 1141, quando, rappresentata dal converso Guiberto, acquistò un bosco in località Vico Maggiore per 3 lire milanesi d’argento; tre anni dopo risulta vi fosse annesso un ospedale ed infine, con le bolle papali del 1168 e del 1176 il monastero passò definitivamente sotto l’autorità della Santa Sede.
A parte i luoghi coltivati (i monaci, benedettini, usavano bonificare le paludi), come è facilmente intuibile erano numerosi i boschi, e questo diede il destro al Barbarossa per tendere un’imboscata ai milanesi nel 1159, quando mandò 100 soldati pavesi sotto le mura di Milano per far sì che, convinti dell’esiguità dei nemici, i milanesi uscissero a combatterli con poche unità, per poi cadere nel tranello; ma fu proprio un abitante di Gratosoglio che, intuendo la manovra, avvisò i milanesi, che uscirono numerosissimi e costrinsero i pavesi alla fuga fino a Pontelungo (attuale frazione di Bornasco).
Come molte istituzioni religiose, il monastero ebbe un periodo di fioritura (acquistò persino l’ospedale di Santa Fede, a Porta Ticinese, che era l’Ospedale di Sant’Eustorgio), cui seguirono una graduale decadenza e, sotto l’imperatore d’Austria Giuseppe II, la soppressione. Nel 1783 però venne fondata la parrocchia di Gratosoglio (separata dai Tre Ronchetti) che si estendeva soprattuto verso sud, fino a giungere a Cascina Venina, fuori dal comune (nell’attuale comune di Assago). Gli abitanti che, fino al 1900 circa, pertinevano alla parrocchia erano tra i 600 e i 700, qiasi tutti contadini; questo attesta ulteriormente la natura fondamentalmente rurale di Gratosoglio, oggi purtroppo decisamente difficile da intuire.
Nel prossimo articolo ci occuperemo delle trasformazioni avvenute in questa località nel XX secolo.