I caselli di Porta Venezia (prima parte)

a cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro

Dovendomi addentrare in Zona 3 per la prima volta (letterariamente, s'intende), mi è sembrato opportuno farlo attraverso la Porta Venezia che della zona può senz'altro essere considerata l'ingresso privilegiato, pur non appartenendovi (almeno sotto l'aspetto amministrativo).
Lungi da me il ripercorrere le sue vicende recenti, voglio invece riandare ai tempi ed alle motivazioni della sua costruzione.

Andiamo così agli ultimi decenni del secolo diciottesimo, quando il conte Ludovico Barbiano di Belgioioso, col suo palazzo ai Boschetti, mise in atto la trasformazione del quartiere circostante. Lo imitarono infatti a breve distanza i Saporiti, i Bovara e i Carcano, con i loro palazzi neoclassici affacciati sul corso di Porta Orientale (questo, come noto, il nome originario del varco).
Anche i Bastioni vennero sistemati a nuovo, con una cinta di ippocastani frondosi e, al posto della casupola del gabelliere, sorsero due edifici classicheggianti, tra i quali venne eretta una cancellata di ferro che sbarrava il passo alle mercanzie provenienti dalla Brianza (a scopo di esazione del tributo).

Approfondiamo a questo punto la storia della Porta: essa si chiamava in origine "Orientale", ma in seguito le vennero attribuiti i nomi di "Porta Argentea", poi "Porta Fiorenza", indi "Porta Renza", ed ancora "Porta della Riconoscenza"; fu solo nel 1862 che ad essa fu attribuito il nome di "Porta Venezia", probabilmente un auspicio per il congiungimento di quella città al nascente Stato Italiano.
Inizialmente, la porta fu costituita da elementi effimeri, utilizzati per le cerimonie ufficiali, quali apparati trionfali, archi e monumenti; ma ben presto fu sentito il bisogno di darle un impianto stabile.

I due caselli progettati dal Piermarini non avevano infatti convinto fino in fondo le autorità preposte alla valutazione artistica, per cui nel 1826 venne indetto un concorso che, vinto da Rodolfo Vantini, diede il via alla costruzione delle due palazzine attuali.
Rodolfo Vantini, nato a Brescia il 17 gennaio del 1792, figlio di Domenico e Olivia Leonesio, fu influenzato dal padre Domenico, imprenditore e pittore con una buona tendenza all'architettura; venne così avviato agli studi ottenendo ottimi profitti, tant'è che ventenne era già insegnante presso il Liceo di Brescia, sino ad ottenere la Cattedra ufficialmente per moltissimi anni.
Autore delle ristrutturazioni del centro di Iseo e dei portici della piazza centrale di Quinzano d'Oglio, nonchè dell'altare del Duomo di Brescia, spirerà nel capoluogo il 17 novembre del 1856.

La struttura dei caselli è basata su un corpo centrale preceduto su tre lati (corrispondenti agli affacci principali: verso la città, verso la campagna, verso il passaggio centrale) da tre ampi porticati d'ordine dorico. La finitura è in pietra di Viggiù lavorata a bugnato.
In un secondo tempo vennero costruite le due torrette a scopo di belvedere (nel 1829), mentre pochi anni dopo furono eseguite le decorazioni in marmo di Carrara tuttora visibili e risalenti al 1833.
Esse raffigurano alcuni bassorilievi, opera di Girola, Marchesi, Rossi, Sangiorgio e Somaini, ispirati alla storia milanese, unitamente a numerose statue, realizzate da artisti all'epoca molto attivi a Milano; nel prossimo articolo esamineremo in dettaglio queste statue ed i loro autori.